giovedì 31 gennaio 2019

Chi inquina non piglia pesci

13:23:00


Più l'estate incalza, più si cerca di smaltire il grasso in eccesso. Corsette al parco, detox, digiuni, massaggi. Nulla di grave, per carità, nel volersi bene. Ma il bene narciso, quello innamorato solo di se stesso e poco, o niente, di quello che lo circonda, resta un bene sterile che non dà frutti perché nulla condivide e nulla costruisce. Se questa generazione di umani dalle sopracciglia ad ali di gabbiano – come quella precedente e quella precedente ancora e così via a ritroso nel tempo – avesse solo investito una piccola percentuale della propria vita fatta più di immagine che di sostanza, più di in forma io mentre deformo il resto e chi se ne frega, questo posto chiamato Terra, composto perlopiù d'acqua, sarebbe ancora più ospitale, più verde, più buono da respirare, più sano da mangiare, più salubre da navigare. Oggi fare due bracciate in mare significa scambiare buste di plastica per meduse. Significa nuotare tra rifiuti marini che in realtà arrivano in gran parte dalla terraferma. Significa venire a contatto con liquidi di dubbia provenienza scaricati abusivamente. Significa mettere a repentaglio la salute del mare e dei suoi abitanti. Significa non permettere alle ali di gabbiano, quelle vere, di muoversi, di volare, di nutrire i propri piccoli perché intrappolate nelle reti abbandonate dai pescatori. Significa che alle spiagge, della nostra prova bikini, importa ben poco soprattutto quando il sodo sederino resta seduto e la raccolta differenziata resta una pratica virtuosa, sì, ma di qualcun altro.
Giocattoli, pezzi di ombrellone, piatti, bottiglie e flaconi di plastica di varia natura, esche, lenze, mozziconi di sigaretta, lattine, persino assorbenti. Sulle nostre spiagge c'è tutta la superficialità umana. Non è un caso che nelle zone di mare densamente abitate e maggiormente frequentate dai turisti l'inquinamento sia molto elevato e che il brutto, sebbene si provi a insabbiarlo, non solo riemerge ma addirittura affonda nelle nostre acque. Ecco allora cavallucci marini a braccetto con cotton fioc, tartarughe e foche intrappolate nel nylon, capodogli e balene con stomaci pieni di bottiglie, bicchieri, infradito. Perché dal bagnasciuga agli abissi gli scarti umani viaggiano che è una bellezza. Il vento e le correnti trascinano tutto inconsciamente e incondizionatamente. Quello che getti alla Playa di Catania potrebbe rimpinzare il Great Garbage Patch (l’isola di rifiuti nell'Oceano Pacifico formatasi a partire dagli anni cinquanta) o offrire l'ultimo pasto a un delfino affamato qualche onda un po' più in là. Quello che getti alla Playa di Catania può galleggiare in mare per anni, decenni, secoli. Perché tra i rifiuti più bastardi e onnipresenti c'è pure la plastica, da sola ne rappresenta il 95%, che è stata creata per durare e purtroppo dura, dura eccome. Ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate di plastica, ripeto 8 milioni di tonnellate, finiscono negli oceani del mondo e, ad oggi, si stima che via siano più di 150 milioni di tonnellate di plastica negli oceani. L'Italia è il terzo paese più inquinante tra quelli che si affacciano sul Mediterraneo: il Belpaese riversa in mare una media di 90 tonnellate. Il 40% della plastica europea è destinato agli imballaggi e si trasforma in 16,7 milioni di tonnellate di rifiuti.



Più del grasso in eccesso dovremmo quindi occuparci dello smaltimento delle nostre brutte abitudini. Più delle calorie dovremmo preoccuparci di quel calore umano che tutto dovrebbe avvolgere. Più delle taglie dovremmo misurare la nostra impronta ecologica. Perché se sta mano po esse fero e po esse piuma, oggi più che mai deve esse piuma. È infatti oramai assodato che il riciclo non sia più sufficiente. Occorre ridurre i consumi, cercare alternative ai materiali più dannosi per l'ambiente e cambiare prospettiva prima che le funeste prospettive ci inghiottano negli abissi di un mare senza pesci.
Avrei molto altro da scrivere e molto altro da condividere ma la maestra mi chiama: Cecilia ha preso un virus come 3/4 della sua classe. La temperatura sale e non sono quella del pianeta!

mercoledì 30 gennaio 2019

Plumcake al limone

10:21:00


Ma quanto è buono e versatile il limone? Forse originario dell'Asia Orientale (Cina, India, Birmania) e diffuso grazie agli antichi romani in tutto il mondo, questo agrume è un piccolo miracolo profumato: è ricchissimo di vitamina C, aiuta l'assorbimento del ferro, aiuta la digestione, rinforza il nostro sistema immunitario, riduce la pressione sanguigna, rende più bella la nostra pelle, tiene sotto controllo il colesterolo e ci aiuta a sfornare dei dolci che sanno di portentoso, proprio questo plumcake 100% vegetale, 100% buono!

ingredienti
250 g di farina 0
250 g di latte vegetale
100 g di zucchero integrale di canna
100 ml di olio di semi di girasole
1 bustina di cremor tartaro
1 limone biologico
1 pizzico di sale

per la glassa
zucchero a velo e succo di limone biologico

difficoltà
facile

cottura
40/45 minuti

Preriscalda il forno a 180°. In una ciotola mescola la farina, lo zucchero, il lievito e il sale. Lentamente aggiungi i liquidi mescolando con una frusta fino ad ottenere un impasto liscio e omogeneo. Aggiungi la scorza grattugiata del limone e continua a girare e girare. Quando l'impasto ti sembra perfetto, versalo nello stampo precedentemente oliato (o ricoperto da carta da forno). Metti in forno per 45/45 minuti (usa sempre lo stecchino per valutare lo stato di cottura!) e nel frattempo prepara la glassa che dovrai far adagiare sul plumcake una volta raffreddato. Farla è molto facile: mescola il succo di limone con zucchero a velo fino a ottenere una glassa densa e libidinosa!

Un pizzico di me

Ho manie di piccolezza. Mi piacciono i sassi, le foglie, gli origami. Mi piacciono gli occhi che non mentono, le dita che sfogliano, i piedini che calciano. Mi piacciono le parole semplici e gli haiku complessi, le chiavi che aprono ma non serrano, i coriandoli che volano, le frittelle che ingrassano. Mi piacciono le gocce di rugiada e le bolle di sapone. Sì, mi piacciono le piccole, le piccole grandi cose.

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