venerdì 14 maggio 2021
lunedì 23 novembre 2020
Di stelle e di funghi
Mio nonno era un cacciatore e un raccoglitore di funghi. Così mentre dal cielo cadevano fagiani e quaglie, funghi di bosco venivano affastellati nell'anticamera del risotto di sua moglie, una bellissima cesta di vimini. La piccola versione femminile di MacGyver, con accento ciociaro e mani da Nobel per l'Ingegneria casalinga e la Resilienza matrimoniale, era responsabile non solo dei primi piatti, ma pure della spiumatura della sfortunata selvaggina. Senza piume e organi interni i piccoli uccelli prendevano poi il volo del frigo prima di passare alla rotta del forno.
Era un'abitudine consolidata di famiglia, questa, come quella di tenere le stecche di cioccolato nell'armadio dei fucili. Non ho mai capito il perché di questo accostamento, di questa vicinanza. Mio nonno teneva chiuso a chiave l'orrore e il piacere, dicotomia che nelle sue mani diventava fierezza del più forte sul più debole, in quelle dei suoi nipoti un frutto proibito dall'alto tasso glicemico. Sta di fatto che quando le ante del grande mobile di legno venivano aperte il cielo stava per essere toccato. In un modo o nell'altro.
Mia nonna non capiva perché mi rifiutassi di mangiare fagiani e quaglie. Con il pollo e il maiale non storcevo il naso, non facevo la difficile, al contrario li gustavo in tutte le salse. «Non sono animali pure loro?», mi ripeteva. Questo refrain mi ha accompagnato tutta la vita, anzi, fino a un certo punto della mia vita. Di colpo, circa 11 anni fa, tutto mi apparve più chiaro: quel pollo e quel maiale meritavano di non essere mangiati, che l'onnivorismo era una reiterazione senza riflessione e sentimento, che l'orrore resta orrore mentre il piacere si nutre anche di valide strade alternative.
Tutti possediamo un armadio pieno di fantasmi e di errori, di stecche o di fucili, ma se a cadere nel nostro paniere fossero solo stelle?
venerdì 8 marzo 2019
8 marzo 2019
mercoledì 18 aprile 2018
Il progresso mi conserva
sabato 24 febbraio 2018
I bimbi vegani non sono straordinari
mercoledì 14 febbraio 2018
Come il cielo, come la terra
#sanvalentino
martedì 14 novembre 2017
Martedì 14
martedì 14 febbraio 2017
San Valentino a modo mio
Per tutte quelle volte che mi sono piaciuta nonostante l'ingratitudine dello specchio.
Per tutte quelle volte che ho avuto paura di sbagliare e poi non ho sbagliato.
Per tutte quelle volte che ho sbagliato e non ho avuto paura di farlo.
Per tutte quelle volte che sono rimasta in silenzio perché con gli occhi avevo già detto tutto.
Per tutte quelle volte che ho chiuso gli occhi aprendo solo il cuore.
Per tutte quelle volte che ho ascoltato con il cuore e abbracciato solo con gli occhi.
Per tutte quelle volte che ho scritto post stupidi perché non prendersi troppo sul serio non è mica da stupidi.
Per tutte quelle volte che arrossisco e mi mancano le parole.
Per tutte quelle volte che l'amore non ha bisogno di parole.
Per tutte queste volte io amo la vita.
venerdì 16 settembre 2016
È vero. Tiri fuori energie che non sapevi di possedere nonostante le notti in allerta e i sogni troppo corti
lunedì 1 agosto 2016
BeeVegan: il gioco, la consapevolezza, il fare
Nebbia nella testa, gelo sulla lingua e calura sulle gote. Queste le condizioni climatiche che una timida cronica come me attraversa prima, dopo e durante un discorso in pubblico. Condizioni che imperversano con gli sconosciuti, infieriscono con i conoscenti, ma si mitigano con gli amici. In linea generale è sufficiente un assembramento di due persone per scatenare il mio personale, inevitabile, fastidioso, imbarazzante, emotivo cortocircuito atmosferico. Quando accade i concetti si dileguano, i ragionamenti si aggrovigliano e le parole si aggrappano alle dita, che a loro volta si arrampicano sugli specchi. E anche se non sempre scivolo nell'abisso nero dell'impasse verbale, l'oratoria resta il mio sport estremo a cui ogni tanto cedo con l'audacia degli scapestrati. Così come ho fatto qualche giorno fa rilasciando un'intervista a RadioVeg (vuoi ascoltarla? clicca qui per il podcast!). Mi sono lanciata senza paracadute e a cuore aperto ho parlato della mia scelta vegan, del blog, di Cecilia. A fine registrazione mi sono resa conto di aver tralasciato alcuni concetti, di non essere stata efficace con altri, di aver abolito l'esistenza dei sinonimi e dei contrari e forse pure dei congiuntivi. Nonostante le mancanze da clima incerto sono riuscita a spiegare, per la prima volta, la scelta del nome di questo blog. Dopo 20 post, 43.340 visualizzazioni di pagine e un'intervista credo sia doveroso spiegarlo anche qui, la mia casa, e attraverso la scrittura, l'unico mezzo di comunicazione che riesce a tenere a bada i miei rossori e le mie incertezze. Perché BeeVegan? Perché combina più elementi: il gioco, la consapevolezza e il fare. Il gioco. Quello delle parole, dei rimandi, dei sottotesti. Bee in inglese significa ape e la sua pronuncia (be) rimanda all'infinito di essere. Sono vegan, sono un'operaia della cultura, sono una piccola ape che diventa furibonda davanti all'orrore, agli sfruttamenti, all'avidità dell'uomo. La consapevolezza. Quella di essere di passaggio e di considerare il pianeta come un grande alveare in cui le azioni del singolo possono avere ripercussioni positive e negative nella vita del vicino e in quella del lontano, in quella del grande e del piccolo. E, pure, in quella del minuscolo: le api, se non ne foste informati, stanno scomparendo. Pesticidi e monoculture hanno intaccato il loro microcosmo e le ripercussioni sul macrocosmo possono diventare preoccupanti. 71 delle 100 colture più importanti a livello globale vengono impollinate dalle api. Un terzo del cibo prodotto al mondo dipende dall'impollinazione di questi insetti, animali tanto piccini eppure tanto strategici per gli ecosistemi, per l'economia, per l'agricoltura. Il fare. Quello che mi fa chiudere il rubinetto quando lavo i denti per non consumare acqua, che mi fa piantare timo e rosmarino sul balcone per nutrire le api, che mi spinge a mangiare pasta e ceci per tenere lontana la gallina dal brodo. È la politica dei piccoli grandi gesti, quei gesti che rendono il mondo, almeno per me, più dolce e meno pungente. Siate operosi. Siate connessi anche fuori dei social. Siate il miele che volete vedere nel mondo!mercoledì 15 giugno 2016
Come un astronauta capovolgo i pensieri
mercoledì 25 maggio 2016
Le infinite geografie del cuore
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| City Lights (1931). Charlie Chaplin e Virginia Cherrill |
Le infinite geografie del cuore mi hanno dirottato a Catania più di 13 anni fa. Di Roma mi manca lo straordinario e pure l'ordinario. Mi mancano i miei fratelli, il mio quartiere, la pizza bianca. Mi manca Trastevere, leggere in metropolitana, le serate all'Alpheus. A volte mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se fossi rimasta. O che donna sarei stata se non fossi partita. Siamo dopotutto il frutto delle scelte che facciamo, delle persone che incrociamo, dei sogni che inseguiamo.









