mercoledì 1 giugno 2016

Il buon vegano





Emaciati, anemici, tristi, divoratori di carotine e lattughine. Nell’immaginario collettivo i vegani sono degli zombi con frigoriferi malinconici e pasti senza gusto. Insomma persone strambe, che mangiano cose strambe, in continua lotta coi carnivori. D’altronde i media – forse per audience, forse per partito preso – contrappongono la dieta vegetale a quella onnivora fomentando, inutilmente, conflitti e pregiudizi alimentari. Battute ironiche che rasentano la derisione farciscono, per esempio, alcuni talk televisivi che affrontano in maniera approssimativa la filosofia vegan, una scelta (e non una moda) articolata, che merita un’indagine più ragionata e trattata su più fronti. Perché essere vegano non significa solo avere a cuore la qualità e la vita di tutte le specie. Significa aver valutato con coscienza critica l’eliminazione totale di alimenti, indumenti, saponi, detergenti, trucchi, medicine e altro che abbia a che fare non solo con lo sfruttamento degli animali ma, anche, delle risorse (non infinite) del nostro pianeta. Significa aver maggior riguardo per la salute e il proprio benessere fisico. Sensibili? Altruisti? Salutisti? Non sta a noi dirlo. Sicuramente non siamo indifferenti ad alcuni dati. A questi dati: per soddisfare il palato ogni anno nel mondo vengono uccisi circa 50 miliardi di animali; il 18% delle emissioni globali di gas serra (più del 14% prodotto dai trasporti) deriva dagli animali allevati; il 99% della carne prodotta proviene da allevamenti intensivi; il 70% della terra coltivabile del pianeta è destinato alla produzione; il 90% della soia e il 50% dei cereali prodotti sul pianeta sono utilizzati per produrre mangimi animali; per produrre 1 kg di carne bovina sono necessari oltre 15.000 litri di acqua contro i 1.300 per 1 kg di frumento; 1 hamburger distrugge 5 mq di foresta; sostituendo settimanalmente 1 kg di proteine animali con quelle vegetali si risparmiano circa 36 kg di CO2 prodotta dagli animali; la percentuale di obesità dei vegani va dal 5 al 20% in meno rispetto ai carnivori; si riduce del 50% la possibilità di avere un infarto e di sviluppare il diabete 2; 1 bambino su 10 è obeso.
Un fardello di cifre che dovrebbe far riflettere sul peso strategico delle nostre abitudini alimentari (non è sufficiente neanche essere vegetariani perché la richiesta di latte, uova e formaggi non azzera il problema della deforestazione, dello spreco delle risorse idriche, della fecalizzazione ambientale, dell’emissione di CO2, etc). Insomma, da ridere c’è ben poco, mentre molto possiamo fare per invertire la rotta.


Essere vegan è una scelta politica che parte, dunque, dalla tavola e che mette in discussione un’intera cultura, quella della cucina mediterranea, considerata dai più la dieta perfetta. Un’asserzione che, animalismo a parte, era condivisibile decenni fa, quando la carne era un secondo raro, genuino e non imbottito di farmaci, quando gli animali pascolavano liberi e il loro nutrimento era selezionato e non nocivo. Oggi invece mucche, maiali, galline, conigli e altri animali/pietanza vivono costretti in gabbia e torture brutali scandiscono la loro esistenza. È la dura legge dell’allevamento intensivo e di un interesse economico che fa compiere all’uomo, senza pietà alcuna, azioni disumane. Molte obiezioni che rendono scettici i cultori della «ciccia» sono legate proprio al suo indotto e alla crisi che potrebbe generare una virata mondiale al vegetale. Ma non è pensabile che il tutto avvenga simultaneamente o con la stessa velocità. A piccoli passi la riconversione e la riqualificazione di tutti gli attori del sistema potrebbe colorare di verde una nuova economia basata sul rispetto, sull’etica, sull’uguaglianza e sulla salute del pianeta e di tutti i suoi abitanti.
Nuovi e vecchi brand hanno già messo in atto questa piccola grande rivoluzione: gli scaffali dei supermercati si arricchiscono sempre più di prodotti vegetali (non sempre di qualità ma da qualche parte si deve pur iniziare…), la cui domanda in Italia è in graduale aumento. Il “Rapporto Italia 2016” di Eurispes rivela infatti che oggi si dichiarano vegani l’1% della popolazione (nel 2014 i vegani italiani erano lo 0,6%).
Ricapitolando: non campiamo di aria, né di verdure lessate; reperiamo in natura tutto quello di cui abbiamo bisogno, proteine comprese; mangiamo con grande appagamento; non facciamo distinzione fra animali domestici e da allevamento; abbiamo un’impronta ecologica più bassa e siamo in forma, il più delle volte. Sì, anche i vegani ingrassano! 

Postilla / Ci sono vegani e vegani, vegetariani e vegetariani, onnivori e onnivori. Un’alimentazione verde non implica necessariamente una predisposizione ambientalista o animalista, così come un ingordo di chianine e formaggi può aver scelto la bici come proprio mezzo di trasporto. Sebbene le circostanze non sempre lo consentano, io considero un buon vegano chi riesce a mixare l’etica con le pratiche virtuose.

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Un pizzico di me

Ho manie di piccolezza. Mi piacciono i sassi, le foglie, gli origami. Mi piacciono gli occhi che non mentono, le dita che sfogliano, i piedini che calciano. Mi piacciono le parole semplici e gli haiku complessi, le chiavi che aprono ma non serrano, i coriandoli che volano, le frittelle che ingrassano. Mi piacciono le gocce di rugiada e le bolle di sapone. Sì, mi piacciono le piccole, le piccole grandi cose.

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